Conchiglie fossili

Chiocciole e ricci di mare in calcare dolomitico

Chi non ha mai camminato sulla spiaggia cercando conchiglie? Ci sono a volte parti della spiaggia dove ci sono più gusci che sabbia. I più curiosi avranno guardato da vicino questi accumuli di conchiglie, e avranno scoperto che per ogni grande guscio che cattura la nostra attenzione, ci sono centinaia di gusci più piccoli, grandi solo pochi millimetri.

Ma nemmeno i più curiosi – immaginiamo – hanno provato a inglobare una manciata di questa sabbia in una sostanza solida, una colla, una resina o del cemento, e poi tagliare il risultato a fette per vedere le sezioni di questi gusci. Se lo aveste fatto, il risultato sarebbe più o meno quello che vedete in queste foto. I gusci di conchiglia hanno forme molto varie e complesse, e una volta sezionati diventano irriconoscibili all’occhio non allenato. In queste foto, vedete alcuni bivalvi, gasteropodi (chiocciole), gigli di mare e brachiopodi assieme ad altri granuli di carbonato di calcio, tutti non più grandi di un paio di millimetri.

Microfoto © Prof. Bernardo Cesare

il progetto

Microcosmo nasce dal desiderio di svelare l’incanto, il fascino strutturale e cromatico che la luce rivela all’occhio umano guardando la realtà attraverso il microscopio.

DolomitiArtRock valorizza il microcosmo delle rocce dolomitiche e ci permette di varcare il confine fra micro e macro cosmo, facendo scoprire come la bellezza in Dolomiti risieda, stabile e forte, sia al di là che al di quà di questo confine. Il punto di partenza è una roccia raccolta sulle nostre Dolomiti, apparentemente senza alcuna particolarità. La tecnologia sommata a nuove competenze ci permette oggi di guardare l’invisibile.

La tecnica

In un tempo lontanissimo, tra 250 e 200 milioni di anni fa, si depositarono sul fondo di un mare tropicale sabbie, limi e fanghiglie che la litogenesi trasformò in rocce. Quelle rocce oggi svettano fino a 3000 mt e sono parte delle Dolomiti.

Bernardo Cesare, Docente di Petrografia all’Università di Padova, ha fotografato al microscopio queste rocce rivelando inediti mondi. Per poterli osservare al microscopio, i campioni di roccia devono essere così sottili da divenire trasparenti, in modo da poter essere attraversati dalla luce.

Le rocce, quindi, vengono tagliate con una lama diamantata in fette molto sottili, di circa tre centesimi di millimetro (30 micron); la fetta di roccia viene poi incollata su un vetrino per essere osservata al microscopio.

Questo vetrino è posato su un tavolino portaoggetti illuminato da sotto: quando passa attraverso i cristalli della roccia, la luce viene propagata in modo diverso a seconda della struttura cristallina, ossia in base a come sono disposti gli atomi nei cristalli del campione.

Quando tale luce colpisce il campione in analisi, essa interagisce con i minerali presenti nella roccia e ogni colore della luce ruota di un angolo diverso a seconda del tipo e delle caratteristiche del minerale. L’uso di un secondo filtro, detto analizzatore e posto tra obiettivo e oculare, permette di isolare una sola parte, o colore, della luce incidente.

La stessa immagine di un oggetto, quindi, si può ottenere in colori diversi a seconda di come vengono usati i filtri. L’uso della luce polarizzata permette al geologo di identificare e classificare i minerali presenti in una roccia.